Non si scherza con il revenge porn

La notizia è recente ma è anche una vecchia storia: abbondano gruppi segreti online creati per diffondere materiale pornografico (e anche pedopornografico) non autorizzato, in forma di foto e video erotici. Azione che prende il nome di revenge porn –porno da vendetta-, dalle sue origini, alcuni anni fa, nelle quali alcuni individui hanno diffuso senza permesso materiale erotico delle ex fidanzate per lederne la reputazione.

 

In Italia, la distribuzione di immagini di nudo di un'altra persona senza il consenso è un reato dal 2019, considerata come una vera e propria violenza punibile da codice penale. Resta però il problema del web, dove è facile nascondersi e continuare con questa violenza, sebbene piattaforme come Facebook e Telegram stiano muovendosi con forza per individuare e chiudere questi spazi.

Restano aperti, però, alcuni temi scottanti, prima di tutto educativi.

Revenge porn: è invasione della privacy?


La tendenza comune è quella di minimizzare il revenge porn e di ritenere eccessive le pene, assimilandolo più a una violazione della privacy che a una forma di violenza. Fra i commenti più “morbidi”, quelli di chi sostiene che il consenso è sempre implicito al momento dell’invio delle proprie immagini e che il reato, al massimo, è la diffusione senza permesso, cioè, violazione della privacy. Sebbene la violazione della privacy sia anch’esso un reato (sia civile che penale), è importante sottolineare come il revenge porn sia più grave, trattandosi di pornografia non consensuale. Ed è proprio il non-consenso a farne un vero e proprio atto di violenza. Non a caso, il revenge porn ha picchi più alti fra ex-coppie, dove l’intento di ledere è anche motivato (ma non giustificato).

Perché il revenge porn è una forma di violenza?


Il percorso che un’immagine o un video erotico attraversa prima di arrivare a un utilizzo di revenge porn è il seguente:


1. Un'immagine sessualmente esplicita di una “parte intima del corpo” di qualcuno che può essere chiaramente identificato e/o un'immagine di quella persona che si cimenta in un qualche tipo di “atto sessuale” in solitaria, in coppia o in gruppo, viene inviato mediante mezzi telematici.

2. Esiste un accordo reciproco sul fatto che l'immagine o le immagini debbano rimanere nascoste.

3. Tuttavia, la parte che ha ricevuto l’immagine, pubblica, diffonde o distribuisce in altro modo e/o spazi l'immagine o le immagini.

4. Questa stessa persona sa o si aspetta che la sua azione danneggerà emotivamente la vittima.

5. La vittima, in effetti, sperimenta un grave disagio a seguito dell'azione del colpevole, disagio che può causare
danni emotivi, ma anche lavorativi, familiari e di reputazione pubblica.

 

Quest’ultimo aspetto è centrale nella legge italiana, che ha dato maggiore peso, dal 2019, all’impatto sulla vita della persona vittima di revenge porn.

Revenge porn su minorenni

Le notizie dei gruppi Telegram dedicati al revenge porn hanno aperto gli occhi anche su questo reato rivolto ai minorenni: in questi casi, ovviamente, trattandosi di pedopornografia, le pene si fanno più pesanti, ma resta aperto un nodo: come considerare la diffusione di materiale erotico che avviene consensualmente fra minorenni? Di norma, la legge protegge queste forme di sperimentazione sessuale, in quanto normali e adattive in adolescenza per la scoperta della propria sessualità (sempre che non vi sia molta differenza di età fra le due parti, tale da rimandare alla pedofilia). Per esempio, è del tutto normale che una coppia di giovani adolescenti minorenni utilizzi lo scambio di immagini erotiche – fa parte anche della nuova cultura digitale. In questi casi, la diffusione va considerata revenge porn di tipologia pedopornografica? La questione resta aperta.

La differenza fra sexting e revenge porn


Nel dibattito sul revenge porn si è anche parlato della pratica del sexting, ossia lo scambio di testi e immagini erotiche a scopo erotico. Può il sexting essere considerato un reato, venendo reso uguale al revenge porn? La risposta è no: se il sexting resta sul piano del consenso e il materiale non viene diffuso, resta una pratica lecita. Ma se c’è diffusione e danno, allora si trasforma in revenge porn e come tale verrà punito.

Le aggravanti penali del revenge porn


Il colpevole di reato di revenge porn è sia la persona che ha diffuso le immagini direttamente ricevute dalla vittima, sia chi le ha ricevute e a sua volta contribuisce alla diffusione. Questo vuol dire che se un ex fidanzato invia ad amici foto erotiche non autorizzate della ex fidanzata e questi amici le diffondono ulteriormente ad altre cerchie di amici (o su gruppi online pubblici e privati, come si è detto), sono anch’essi colpevoli di reato. Questo perché il danno alla vittima è così moltiplicato e la colpa punibile è proprio questo ampliamento del danno.

Le pene, inoltre, sono più dure se a diffondere le immagini è il coniuge (anche separato o divorziato) o c’è stato in passato una forma di legame relazionale.
Anche il luogo di diffusione ha un impatto sulla pena: diffondere i contenuti su social network è più grave, poiché il pubblico è potenzialmente più ampio.
Ovviamente, infine, sono gravissimi atti di revenge porn attuati a danno di minori, persone in condizione di inferiorità fisica e psichica e donne in stato di gravidanza.

Le pene per la condanna di revenge porn

 

A occuparsi di revenge porn in Italia è la legge n.69 del 2019, che parla di “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”. Nel relativo articolo 612 ter del codice penale si parla di pene da uno a sei anni di reclusione e di multe da 5.000 a 15.000 €.


Una precisazione va fatta a conclusione dell’articolo: nel discorso comune si fa riferimento a vittime di revenge porn donne e a colpevoli uomini. Ebbene, non è, purtroppo, sempre così. Sono già noti casi in cui i generi sono invertiti, a far intendere che il danno emotivo e psicologico in una situazione di revenge porn può colpire davvero tutti.

La soluzione al revenge porn

 

Il revenge porn è una forma di reato sociale e digitale: le nuove forme e possibilità di comunicazione hanno, infatti, reso possibile la nascita e diffusione di questa pratica – e come tale va pensato quando si cercano le soluzioni. Per alcuni, addirittura, si parla di stupro digitale di gruppo, per far capire la gravità del senso di violazione che le vittime possono arrivare a percepire. Il revenge porn è anche connesso al cyber bullismo, sempre per il legame con il mondo digitale.

È proprio sul web che, quindi, l’azione educativa può essere più efficace, perché il messaggio può raggiungere le stesse persone che attuano revenge porn e che, magari, hanno sottostimato il problema. Il problema non è né l’invio di immagini erotiche né la presenza di piattaforme di messaggistica su cui queste possono essere diffuse. È, anzi, molto grave provare a far ricadere la colpa sulla persona che ha inviato per prima una foto erotica di sé stessa. Va sempre ricordato che è la vittima, in ogni caso.

Il tema del consenso deve diventare centrale e diffuso su larga scala, facendo leva sulla differenza fra “acconsento a mandare un’immagine a te” e “non acconsento che l’immagine venga diffusa”. Sembra una sottigliezza, ma in mezzo c’è tutto un reato. E soprattutto, ci sono persone vittime di violenza.